(Pareri della 1ª, della 5ª, della 6ª, della 11ª, della 12ª Commissione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali)
BONINO, RICHETTI, ZANDA, BOLDRINI, MESSINA Assuntela, ASTORRE, DE ETRIS, VANIN - Ai Ministri per i beni e le attività culturali e dell'economia e delle finanze
Premesso che:
la fondazione Laboratorio Mediterraneo onlus, ente morale riconosciuto dallo Stato (Ministero per i beni e le attività culturali), che ha promosso la costituzione e le attività del museo della Pace MAMT (Mediterraneo, arte, musica e tradizioni) e di altri istituti e organismi internazionali per il partenariato culturale ed il dialogo, è assegnataria di parte dell'immobile del palazzo Pierce a Napoli, con accesso dalla via Depretis n. 130, in base a distinte concessioni della Regione Campania e dell'Agenzia del demanio (entrambi proprietari dell'immobile): ciò su specifica indicazione del Governo italiano e per effetto della legge n. 111 del 2002;
con decreto 28 giugno 2019, il Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta dell'Agenzia del demanio, ha deliberato la cessione di locali costituenti porzione di palazzo Pierce, oggi assegnati alla fondazione;
la gestione dei locali di palazzo Pierce e l'utilizzazione museale ha implicato il rilascio alla fondazione di specifiche autorizzazioni e vincoli da parte del Ministero per i beni culturali e della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Napoli, fino all'ultimo nulla osta per l'attività museale (marzo 2019);
la cessione dei locali e una diversa destinazione d'uso, non comportando significative entrate per lo Stato (anche inferiori al solo contributo riconosciuto alla fondazione dalla legge n. 111 del 2002), implicherebbe per la fondazione molteplici e irrisolvibili problemi che ne pregiudicherebbero definitivamente l'attività;
in dettaglio: 1) la chiusura del museo della Pace MAMT, patrimonio "emozionale" dell'umanità, per la mancanza di continuità nei percorsi museali e delle richieste vie d'esodo oggi realizzate al piano terra, proprio nei locali oggetto di cessione; 2) un contenzioso con l'Unione europea che solo il 9 luglio 2019 ha concluso l'iter amministrativo ed il collaudo finale per i fondi erogati, per effetto dei quali vi è l'obbligo del mantenimento della funzione finanziata, lo stesso il museo della Pace MAMT; 3) danni per circa 1.700.000 euro per il solo spostamento di tutti i principali dispositivi ad alta tecnologia dell'intero sistema museale, distribuiti su 5 piani, ma aventi tutte le centrali operative, di gestione e di controllo al piano terra; 4) la cessazione delle attività di un'istituzione di straordinaria importanza culturale e di rilievo tanto istituzionale quanto economico per la città di Napoli, per l'Italia e per il Mediterraneo;
i locali attualmente concessi possono, altresì, essere utilizzati esclusivamente per alte finalità istituzionali e nei medesimi immobili sono stati realizzati investimenti per oltre 11.000.000 euro, grazie alla citata legge n. 111 del 2002 ed a fondi comunitari, su specifiche indicazioni di governi di Paesi euromediterranei e dell'Unione europea, partecipi delle attività della fondazione e, in particolare, del museo della Pace MAMT;
i locali attualmente utilizzati dalla fondazione, distribuiti su 5 piani, sono stati assegnati attraverso 5 concessioni rilasciate (dal 2001 al 2014) in modo spesso problematicamente disomogeneo dai due enti diversi proprietari: la Regione Campania e l'Agenzia del demanio;
un'ulteriore problematica caratteristica dell'immobile è l'interclusione dei locali concessi, che ne rende complessa la gestione materiale e amministrativa, vieppiù ostacolata dall'enorme differenza di durata delle diverse concessioni. Vi sono, ad esempio, locali di proprietà regionale concessi per 99 anni e altri contigui ed interclusi di proprietà demaniale, la cui concessione scade tra un anno: i medesimi condividono lo stesso accesso;
la fondazione ha investito oltre 7 milioni di euro (compresi 3 milioni di fondi europei) per rendere i locali concessi uno spazio museale di alta qualità (provvedendo ad apparecchiature e arredi), per cui ora, grazie anche alle donazioni di oggetti, reliquie e reperti pregiati, il valore stimato del museo della Pace è di oltre 300 milioni di euro;
la fondazione ha, peraltro, sostenuto spese per oltre 3 milioni di euro unicamente per i lavori necessari a rendere agibili i locali ricevuti fatiscenti ed inutilizzabili dall'Agenzia del demanio;
per consentire un utilizzo adeguato e razionalmente regolato del museo e del complesso di locali organici alle attività culturali e istituzionali della fondazione (che sono funzionalmente collegati e strettamente attigui) si sarebbe dovuta prevedere, fin dall'inizio, come più volte richiesto dalla fondazione, un'omogeneizzazione della durata e del canone delle diverse concessioni, oltre all'assegnazione di altre unità immobiliari di proprietà dell'Agenzia del demanio, site al primo e secondo piano, per evitare l'improponibile promiscuità con altre attività all'interno del sistema museale, incompatibili ai fini della sicurezza;
la fondazione ha provveduto a proprie spese alle doverose misure di sicurezza occorrenti, tra l'altro, per proteggere reperti e reliquie di grande valore economico e culturale; è evidente che la condivisione di locali all'interno dello stesso immobile per attività diverse, da parte di diversi soggetti, non consentirebbe di mantenere efficienti misure di sicurezza;
in assenza di tempestive soluzioni la fondazione sarebbe presumibilmente costretta a ricorrere al giudice amministrativo per tutelare il proprio interesse legittimo rispetto a un atto amministrativo che pregiudica lo svolgimento delle sue attività,
si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo non ritengano di dover garantire tempestivamente la continuità delle attività della fondazione e, specialmente, del museo della Pace MAMT, con modalità, che, senza comportare ulteriori oneri per la finanza pubblica, e senza scaricare oneri insostenibili sull'istituzione culturale internazionale, riconosca alla fondazione, con uno strumento giuridico da determinare e concordare con essa, l'uso di tutti i locali di proprietà demaniale con l'applicazione del canone ricognitorio e per un periodo identico a quello della durata delle concessioni dei locali di proprietà regionale, nonché la totale indipendenza e l'uso esclusivo dell'accesso al museo con l'intera scala avente l'ingresso da via Depretis n. 130.
da recenti notizie di stampa, tra cui l'articolo del "Corriere della Sera" del 23 settembre 2020 intitolato "Recanati, la lotta del fai contro la discarica", si apprende che, con delibera n. 9/2020 dell'assemblea territoriale d'ambito ATO 3 della Provincia di Macerata, venivano individuate, a seguito dell'adozione del piano regionale di gestione dei rifiuti della delibera del Consiglio provinciale n. 8 del 3 agosto 2017, le aree idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;
tra le aree idonee ad ospitare una discarica, sono stati individuati i territori della provincia di Macerata, i quali, tuttavia, sono paesaggi ad alta vocazione culturale, turistica e agricola, vincolati a livello ambientale e paesaggistico;
in particolare, l'idoneità di un'area è stata individuata nei comuni di Recanati e Montefano, esattamente in una zona sotto il colle che ispirò Giacomo Leopardi e che rappresenta una fonte di bellezza, oltre ad essere nota meta turistica;
considerato che:
la disciplina normativa in tema di localizzazione degli impianti prevede all'articolo 195, comma 1, lettera p), del decreto legislativo n. 152 del 2006, che tra le competenze statali vi è l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti. Si tratta quindi di un'indicazione in negativo, che comporta l'esclusione di una serie di aree da quelle potenziali sedi di impianti;
a seguito della comunicazione COM (2015) 617 della Commissione europea del 2 dicembre 2015 e, soprattutto, a seguito delle quattro direttive 2018/849/UE, 2018/850/UE (specifica in materia di discariche), 2018/851/UE e 2018/852UE, è stata adottata la nuova strategia europea in tema ambientale della cosiddetta economia circolare, che considera gli oggetti e le sostanze residue del processo produttivo beni non da distruggere, bensì da riutilizzare in un nuovo processo, assegnando la qualifica di "rifiuto" a quei residui dell'attività di produzione che non siano altrimenti impiegabili per impossibilità tecnico-economica;
il conferimento in discarica dei rifiuti costituisce, perciò, l'ultima opzione prevista per il trattamento dei rifiuti. Infatti, il ricorso a discarica non comporta alcuna valorizzazione del rifiuto e implica, secondo la stessa normativa (art. 1 del decreto legislativo n. 36 del 2003) potenziali rischi di contaminazione per l'ambiente, come si evince anche dal dato empirico, che ha condotto la Corte di giustizia della UE, sez. III, sentenza 26 aprile 2007 (C-135/05), a sanzionare l'Italia per la sussistenza di oltre 200 discariche abusive, presenti in quasi tutte le regioni italiane;
la realizzazione di discariche nel territorio non solo comporta la necessità di realizzare progetti assistiti da una serie di misure di cautela, volte a scongiurare pericoli di inquinamento, ma richiede anche un'attenta attività di pianificazione del territorio e di programmazione degli interventi, in modo tale da ubicare le discariche da realizzare, come ultima opzione del sistema del trattamento dei rifiuti, in sicurezza e in luoghi confacenti;
la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla competenza regionale;
considerato inoltre che:
in tema di gestione dei rifiuti e impiego di nuove tecnologie, la Regione Marche è già destinataria di una sentenza della Corte costituzionale (n. 142, anno 2019) con la quale è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge della Regione Marche 28 giugno 2018, n. 22 (Modifica alla legge regionale n. 24 del 2009, "Disciplina regionale in materia di gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati");
precedentemente, la Regione, con deliberazione amministrativa n. 128 del 14 aprile 2015, ha approvato il piano regionale di gestione dei rifiuti, pubblicato sul supplemento n. 4 del bollettino ufficiale del 30 aprile 2015, che contiene nella proposta pianificatoria anche l'appendice II "linee guida per la redazione dei piani d'ambito";
sin dal piano regionale, tra gli obiettivi da raggiungere rientrava quello riguardante la massimizzazione del recupero di materiale e la riduzione dello smaltimento in discarica;
il lavoro di predisposizione del piano d'ambito si è concentrato sull'approfondimento di vari temi, fra i quali spicca la localizzazione dell'impianto di discarica a servizio del territorio in conseguenza dell'esaurimento della discarica di Cingoli previsto entro gli anni 2021-2022;
i vari momenti di confronto avuti nel comitato di coordinamento (riunioni del 15 maggio e 12 settembre 2019 e del 14 gennaio 2020) e nelle assemblee del 24 settembre 2019, del 22 maggio e 19 giugno 2020 hanno consentito di trattare talune problematiche relative soprattutto ai criteri di localizzazione del nuovo impianto con la considerazione degli innumerevoli vincoli cui esso dovrà sottostare, quali quelli relativi alla tutela dei beni culturali e paesaggistici;
valutato che agli interroganti risulta che il Comune di Recanati ha deliberato la sua contrarietà alla realizzazione del progetto di discarica e con il supporto di un tavolo tecnico auspica l'elaborazione di vincoli specifici e che contro la realizzazione della discarica è nato un comitato locale che ha lanciato una petizione on line con lo scopo di dare un'alternativa valida alla discarica,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non intenda verificare, per quanto di sua competenza e con il coinvolgimento degli enti periferici interessati, la conformità delle scelte adottate alle disposizioni in materia di tutela ambientale di cui decreto legislativo n. 152 del 2006 e di tutela paesaggistica di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004.
risulta agli interroganti che nella frazione Castagna di Carlopoli (Catanzaro), nel cuore della Sila Piccola, insistano i maestosi resti dell'abbazia di Santa Maria di Corazzo, benedettina al tempo della fondazione, che si suppone dovuta ai Normanni appena insediati in Calabria, negli anni '60 dell'XI secolo, quindi riedificata dai Cistercensi a poco più di un secolo di distanza;
situata in una piccola valle tra i fiumi Amato e Corace, l'abbazia conobbe molte ristrutturazioni, nel tempo, anche a causa dei danni provocati dai periodici terremoti, da ultimo quelli del 1638 e del 1783: il cosiddetto "grande flagello", in specie, determinò nel 1808 la soppressione e l'abbandono definitivo dell'insediamento monastico, la cui fama di respiro europeo e la cospicua fortuna, registrata soprattutto nel basso Medioevo, sono legate in particolare alla circostanza di avere accolto per circa un decennio il mistico Gioacchino da Fiore (ca. 1130-1202), che proprio in S. Maria di Corazzo vestì l'abito, divenne abate e, probabilmente, realizzò alcune delle sue opere principali;
inserendola nel novero delle "Aree naturali e culturali di rilevanza strategica" definite dalla delibera di Giunta n. 273 del 20 luglio 2017, nel 2018 la Regione Calabria ha riconosciuto l'importanza dell'abbazia per il sistema dei beni culturali calabresi. Conscio della sua capacità attrattiva e deciso ad incrementare i flussi in un sito che è già meta privilegiata del turismo scolastico e tappa obbligata del realizzando "Cammino gioachimita", l'Ente ha poi assegnato a S. Maria di Corazzo 1,2 milioni di euro dei Fondi europei per lo sviluppo regionale (FESR) 2014-2020;
il 12 agosto 2020 è stato presentato, a Carlopoli, un progetto preliminare di consolidamento e restauro mirato soprattutto alla chiesa e ai contrafforti addossati a quella nel Sei-Settecento, ma che coinvolge tutto il complesso abbaziale. I rendering pubblicati rivelano trattarsi, però, di un intervento solo nominalmente conservativo e che per la sua invasività ha subito suscitato grande scalpore, tant'è che al risalto dato alla presentazione dalla stampa, anche nazionale, è seguita la rimozione dal portale web del comune di quanto pubblicato (sullo stesso e sul social "Facebook") in vista dell'evento pubblico;
da sempre, in effetti, i tanti che hanno subito il fascino del monumento, a lungo studiato, tra gli altri, dalla professoressa Emilia Zinzi, e del contesto in cui s'inserisce, auspicano che lo Stato assuma iniziative atte, sia ad incrementarne le conoscenze, sia a garantirne la persistenza e la fruizione pubblica. Il progetto anticipato ai media sembra, però, contemplare proprio le ipotesi paventate dai più, contrari, sia a sottoporre le rovine ad una vera e propria ricostruzione, sia a consentire una mera cristallizzazione dello stato di fatto;
la creazione in loco di un piccolo antiquarium ove riunire gli arredi e le opere d'arte dispersi nelle chiese della diocesi dopo l'abbandono dell'abbazia da parte dei monaci, o di una sala polivalente, comporterebbe la riedificazione di un settore del complesso edilizio, prevista con l'uso di pareti di cristallo e tetto ligneo, ma tra i detrattori più convinti il professor Salvatore Settis, calabrese e membro del Consiglio superiore dei Beni culturali, ha espresso la propria contrarietà affermando che "qualsiasi forma di "completamento" non sarebbe sul versante della tutela, ma della distruzione del valore storico e patrimoniale" ("finestresullarte.info", del 30 settembre 2020);
va da sé, d'altro canto, che ogni serio programma di indagine archeologica estensiva, dopo i saggi di scavo puntiformi degli anni '80-'90, che hanno lasciato irrisolti tanti quesiti, sarebbe frustrato da un consolidamento dei ruderi che ad oggi non prevede l'esecuzione di scavi preliminari, tranne un unico saggio nel chiostro. Non così nella chiesa e sotto gli archi dei suoi contrafforti, dove da progetto saranno posizionate pavimentazioni mobili in legno per farne spazi "utilizzabili", dopo la rimozione "del terreno e dei materiali alluvionali";
stante la convenzione stipulata tra la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio (SABAP) e il comune di Carlopoli per l'esecuzione del restauro, lodata pubblicamente dall'ex sindaco, perché, non dovendo mettere a bando la progettazione, avrebbe consentito di risparmiare "un bel po' di risorse (…) da destinare ai restauri", il piano dell'intervento sarebbe stato elaborato proprio in seno all'ufficio ministeriale competente per territorio, quello che oggi abbraccia le sole province di Catanzaro e Crotone, avendo da poco perduto Cosenza, e nel merito da un funzionario architetto "anziano", tuttora in servizio in entrambi gli uffici ("ilsole24ore", del 14 agosto 2020);
inoltre, "Il Sole 24 Ore", nel suddetto articolo, lo definisce impropriamente "responsabile del patrimonio architettonico della Soprintendenza archeologica per Catanzaro Cosenza e Crotone", ma nella sede cosentina di piazza Valdesi, tuttora condivisa dalle due Soprintendenze ABAP della Calabria centro-settentrionale, la sua iniziativa ha generato non pochi malumori, perché il funzionario avrebbe imposto la propria soluzione progettuale, e sé stesso come direttore tecnico dell'intervento di restauro, benché non ricopra l'incarico di responsabile territoriale per il comune di Carlopoli, di fatto scavalcando i colleghi;
nonostante la gratitudine dimostratagli dalla Giunta Mario Talarico, che il 12 agosto 2020 l'ha nominato cittadino onorario (e ha approvato il progetto esecutivo qualche giorno prima di fine mandato), e a dispetto degli osanna della stampa diocesana, arrivata ad attribuirgli il titolo di "architetto florense", fa specie che il soprintendente e, a monte, la Direzione generale ABAP del Ministero in indirizzo lascino alla discrezionalità del professionista in questione ogni decisione sul futuro di un monumento di così alta valenza culturale, in perenne delicatissimo equilibrio con la natura circostante ed elemento di un paesaggio storicizzato, il cui fascino da sempre incanta i visitatori;
nel sempre critico bilanciamento tra tutela e promozione di un bene culturale, l'architetto punta alla cristallizzazione dei ruderi di S. Maria di Corazzo come soluzione capace di garantire la messa in sicurezza e al contempo "la valorizzazione di alcuni spazi contigui". Sceglie, così facendo, e sceglie sia a nome dell'ufficio di cui è dipendente, sia della collettività che gli ha delegato l'esercizio dei propri interessi, di sacrificare non solo la possibilità di incrementare le conoscenze sulla storia dell'abbazia e della sua chiesa in particolare, ma di incidere su una parte cospicua del valore paesaggistico del sito, causando un'alterazione irreversibile dei risultati della naturale ruderizzazione, intervenuta negli ultimi due secoli, di un complesso monastico vissuto pienamente per almeno seicento anni. Una scelta, né obbligata, né scontata, da assumere forse collegialmente e senz'altro con estrema cautela, privilegiando una progettazione che non abbia il risparmio quale unico merito,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga di sollecitare gli uffici centrali del dicastero, non solo ad un'attenta verifica della qualità del progetto di restauro dell'abbazia di S. Maria di Corazzo in ordine alla compatibilità con i valori paesaggistici e architettonici del sito, ma anche della correttezza dell'iter amministrativo interno alla SABAP, senza trascurare di approfondire le motivazioni del dirigente o dei dirigenti dell'ufficio, che hanno assentito al descritto percorso.
l'Hotel des Bains di Venezia, progettato in stile Liberty dai fratelli veneziani Raffaello e Francesco Marsich, fu inaugurato nel luglio 1900 e dotato di soluzioni tecnologiche innovative e all'avanguardia per l'epoca, arricchito altresì da lampadari di Murano, ferro battuto, vetri policromi ed essenze;
tappa obbligata per i protagonisti della Belle époque, tra i suoi ospiti illustri si può ricordare Thomas Mann: lo scrittore ambientò nella sala da pranzo la folgorazione di Gustav von Aschenbach per il giovane Tadzio in "La morte a Venezia", ambientazione scelta anche dal regista Luchino Visconti durante le riprese della celebre trasposizione cinematografica del capolavoro, risalente esattamente a 50 anni fa (1971);
tra le due guerre mondiali, molte personalità del mondo dell'alta borghesia, della politica e dello spettacolo soggiornarono in questo hotel: tra gli altri, non si può non ricordare Adolf Hitler, il quale richiese di esservi ospitato alla vigilia del suo primo incontro con Benito Mussolini, nel 1934, la giornalista statunitense Elsa Maxwell, lo scià di persia Reza Pahlevi, il re d'Egitto Farouk, solo per citare alcuni celebri esempi;
l'Hotel des Bains, attualmente proprietà del fondo di investimento "Lido di Venezia II", è gestito dalla Coima SGR, la quale possiede, tra l'altro, anche l'hotel Excelsior attraverso una propria controllata;
come ricordano alcune fonti stampa locali, negli scorsi anni, Coima SGR aveva presentato un progetto di riqualificazione e rilancio dei due alberghi, perfezionando a tal proposito, con il supporto di Intesa Sanpaolo e Unicredit, un accordo di ricapitalizzazione con il fondo London & Regional properties (L+R), per una cifra complessiva di 250 milioni di euro;
il piano industriale prevedeva, per l'anno 2021, la fine del cantiere dell'hotel Excelsior ed il contestuale avvio dei lavori presso l'Hotel des Bains, i quali avrebbero avuto una durata di 3 anni;
da quanto si apprende, tuttavia, negli ultimi mesi i piani di Coima SGR sarebbero mutati: non solo non è più chiaro se i lavori all'hotel Excelsior verranno compiutamente terminati, ma sembrerebbero addirittura in stato avanzato le trattative per il suo acquisto, comprensivo anche della relativa spiaggia, da parte di L+R. L'offerta presentata dal fondo londinese, secondo le fonti stampa, ammonterebbe a 104 milioni di euro, inclusi 85 milioni di debiti da rimborsare agli istituti bancari;
nondimeno, nell'ambito di queste trattative non troverebbero posto la ristrutturazione ed il contestuale rilancio dell'Hotel des Bains, atteso che L+R non avrebbe manifestato interesse per l'immobile: sebbene l'obiettivo sembrerebbe quello di individuare un nuovo gestore della struttura, con il quale concordare un utilizzo in regime di concessione, non appare tuttavia ancora all'orizzonte una soluzione che consenta di porre fine al mancato utilizzo del palazzo che perdura da oltre 10 anni, con il rischio di gettare una grave ombra sul futuro dell'hotel e con l'ipotesi, sempre più plausibile, di una chiusura definitiva,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti e quali ne siano gli orientamenti in merito;
quali iniziative intenda porre in essere affinché l'Hotel des Bains venga rimesso sul mercato, evitando che l'intera struttura venga lasciata in stato di perdurante abbandono, al fine di garantirne una pronta riapertura e una proficua valorizzazione e riqualificazione, coinvolgendo altresì tutti gli attori potenzialmente interessati.